Le parole della legalità
di Marika De Luca, allieva del Master in Organisation and Human Resources Management – MBM XIX Ed.[dt_code_final] [/dt_code_final]
“La mafia non è affatto invincibile. E’ un fatto umano come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà certamente una fine”(G. Falcone). Questo il principio cardine che ha dato inizio all’incontro con il dott. Borrometi. Un incontro deciso, forte, risoluto che è riuscito ad arrivare al cuore delle persone. Paolo Borrometi: un giornalista, una persona semplice, un uomo che ha deciso di non voltare la faccia dall’altra parte, che denuncia, che è in prima linea, ma soprattutto racconta i fatti di un’organizzazione ben organizzata che si cela dietro il nome di mafia. Tanti sono stati gli spunti di riflessione toccati, la curiosità di volere conoscere a fondo un uomo normale, che decide di fare il giornalista d’inchiesta, denunciando ciò che accade nella sua bella Ragusa, proprio come fece tempo fa Giovanni Spampinato.
Spampinato è uno dei nove giornalisti uccisi dalla mafia, uno dei meno conosciuti, un ragazzo normale, di lui si sente ancora dire che era morto uno che un po’ se la cercava. Da queste informazioni e dalla curiosità di Borrometi nel volere conoscere la storia di Spampinato nasce il suo sogno: diventare un giornalista, ma un giornalista che racconta la provincia di Ragusa per quello che veramente rappresenta.
Un grande fermento ha suscitato poi, ricordare il nome di Rino La Plata, segretario e uomo di fiducia di Piersanti Mattarella, fratello del nostro attuale presidente Sergio. Un sorriso accennato e uno sguardo triste, ma allo stesso tempo sognante e vivo, così Borrometi ha manifestato tutta la sua forza e potenza emotiva. Il ricordo di Piersanti Mattarella, un uomo che ha pagato con la sua stessa vita l’ambizione di realizzare un grande sogno: una Sicilia libera dalla mafia. Da quì l’immediato collegamento con Sergio Mattarella, che come osa definirsi è ben lontano dalle azioni scolpite dal fratello e dal suo attivismo in politica.
Borrometi ritiene sia possibile dare una svolta al mondo marcio che coinvolge la mafia. Infatti bisognerebbe generare una concreta e solida cultura sociale, una maggiore informazione e lavoro per i cittadini del nostro paese, sviluppare una società impegnata in un’azione mirata alla denuncia, alla sfiducia e al disprezzo verso ogni tipologia di atto criminale, così da imporre la legalità. Del resto il giudice G. Falcone affermava: “la mafia non è una bilancia a due piatti: mafia e non mafia; ma una bilancia a tre piatti, dove il terzo piatto è quello dell’indifferenza”. Queste considerazioni hanno manifestato una presa di coscienza nel discorso che ha spostato l’attenzione proprio sul concetto della consapevolezza.
Consapevolezza intesa come una mano intrisa di sogni e speranze future, ma allo stesso tempo di un acuto ed impenetrabile dolore. D’altronde Borrometi ha affermato che i sogni sono rimasti identici negli anni, le sofferenze invece hanno forgiato la sua consapevolezza. Nonostante tutto non molla nella sua lotta alla mafia, perché non depone le armi dinnanzi alla bruttezza , in quanto la stessa, ti sconforta, ti annienta, invece la bellezza ti rapisce e ti conquista. Proprio come a suo tempo fece Peppino Impastato, che scelse la bellezza come arma della sua vita. Di conseguenza la consapevolezza non può essere rassegnazione, indifferenza, perchè la stessa si nutre di scelte, del sapere, di ideali e di responsabilità maturati solo percorrendo le strade più impervie e difficili.
L’attenzione si è poi concentrata sul fenomeno delle agromafie. Il settore dell’agroalimentare rappresenta oggi il secondo business più remunerativo per la criminalità organizzata dopo il traffico di droga. L’agromafia è, infatti, un fenomeno che favorisce la fuga dei cervelli, alimentata anche dalla mancanza di lavoro e dal nepotismo. Per meglio comprendere questo fenomeno, ci si può collegare alla procura distrettuale antimafia che ha un territorio ben preciso sul quale investigare e si può pensare che il fenomeno sia ristretto a quel territorio, ma non bisogna ragionare per compartimenti stagni poichè le mafie fanno squadra più di quanto si possa pensare. Esse hanno compreso che è molto più semplice fare squadra che farsi la guerra, in quanto quest’ultima provoca indignazione ed attira l’attenzione delle forze dell’ordine. Quest’oligopolio sottrae possibilità lavorative ai giovani e restringe il loro campo d’azione attraverso la violenza, le mafie, che pervadono in maniera terribile la vita di ognuno di noi. Risulta fondamentale l’intervento dello stato. “Quando uno Stato è assente per troppo tempo, l’antistato diventa Stato”(F. Angeli).
Ancora oggi in alcuni paesi della Sicilia, la presenze mafiosa favorirebbe la legalità nel senso della sicurezza personale. Si parla infatti di welfare mafioso, un welfare che offre lavoro attraverso attività illecite. Spesso si è detto che le aziende sequestrate in mano allo stato fallisco, ma in mano alla mafia funzionano bene. Ciò accade perché il lavoro dato dalle mafie è un lavoro privo di dignità, tutele, diritti e garanzie, non è lavoro, ma schiavitù.La politica quindi, avrebbe oggi una grande responsabilità, quella di mettere l’individuo in condizione di denunciare, bisognerebbe proteggere le persone che denunciano, perché è solo attraverso la denuncia che ci si può rendere liberi da quella schiavitù lavorativa prodotta dalla mafia. Le amministrazioni locali e l’alta burocrazia stanno diventando sempre più permeabili all’illegalità, prestando il fianco ad operazioni illecite.
Una mafia liquida diventata una holding del malaffare che si camuffa dietro sistemi imprenditoriali in apparenza legali. La mafia dei colletti bianchi sta dando vita a una vera e propria struttura riservata di comando. In quest’ottica non sempre ciò che è legale è anche giusto, perché bisognerebbe prima valutare chi sono gli individui che utilizzano e spesso abusano della legalità che, con i loro comportamenti, svuotano di senso.
Pertanto ci si chiede: è possibile parlare di una coscienza giusta o di una coscienza sociale? Una parte di quelle persone che fanno le leggi, vanno a sfruttarle a proprio uso e consumo, pertanto noi cittadini non dovremmo concedergli un tale potere. Del resto P. Borsellino sosteneva che “le rivoluzioni si fanno con una matita e una scheda elettorale in mano”, quello che conta veramente è che i cittadini facciano il proprio dovere. L’attivismo della mafia coinvolge oggi i canali social più popolari, così da manifestare il suo potere in maniera più incisiva e pubblica. Voltaire infatti sosteneva: “io combatto la tua idea, che è diversa dalla mia, ma sono pronto a battermi fino al prezzo della mia vita perché tu, la tua idea, possa esprimerla liberamente”, riferendosi così al necessario diritto di tutti di esprimere la propria opinione, schierandosi contro ogni forma di censura, anche delle stesse fakenews. Il problema reale dei social media sono i contenuti non presenti, quando mancano le argomentazioni si passa all’insulto e ancora peggio alle minacce. In questo caso non si può parlare più di libertà di espressione. Ma il problema reale non sono neanche le minacce, che in sé a chi ha subito più di un attentato, fanno sempre paura, ma il messaggio che queste lanciano. Quando un capo mafia ti minaccia su facebook lancia un messaggio chiaro a tutti quelli che si vogliono mettere in mostra col boss di turno.
Un esempio Renata Fonte, vittima di mafia, “grazie” al suo assassinio, l’esecutore materiale del terribile gesto è riuscito a fare “carriera” criminale. Quindi con i social e i messaggi che tramite questi si inviano pubblicamente non c’è neanche più bisogno di cercare tra i propri sottoposti o tra i criminali comuni per trovare chi debba compiere un determinato compito perché si rivolge un invito pubblico. Si intuisce che le mafie usano con assoluta consapevolezza i canali social. Se in questo paese ci sono delle regole tutti le devono rispettare, in qualsiasi posto si trovino, compresi i social media. Queste considerazioni hanno manifestato un interesse vivido nel capire come noi giovani desiderosi di un mondo migliore, possiamo lottare contro questo cancro che prolifera nelle nostre amate terre e nella nostra cara Italia.
Borrometi sostiene che l’arma più potente che noi giovani possiamo utilizzare risieda nella cultura. Se manca la cultura e il lavoro manca tutto, manca la speranza, i sogni, la voglia dei ragazzi di rimanere e lavorare liberamente. Il consiglio è sognare, avere la forza di sognare, costruirsi una propria strada anche nelle realtà particolarmente difficili. Sognare è una delle cose più utili da fare. Sognare e lottare per qualcosa da la forza per andare avanti e nella vita occorre sempre andare avanti.